Daesh, nome che si è dato l’organizzazione jihadista salafita attiva in Siria e Iraq altrimenti conosciuta come Stato Islamico (acronimo IS o ISIS), avrebbe chiamato i suoi seguaci a quella che si potrebbe definire una vera e propria guerra santa mirata a liberare i combattenti imprigionati. A riferne in un ampio rapporto pubblicato sul proprio organo di stampa è l’Institute for the Study of War – un think tank con sede negli Stati Uniti fondato nel 2007 dalla storica militare Kimberly Kagan (ha insegnato a West Point, Yale, Georgetown University e American University).
La fonte si definisce non partigiana e dichiara come unico intento quello di fornire ricerche e analisi su questioni di difesa, tuttavia da più parti viene considerata ‘un falco di Washington’ e, pur non a scopo di lucro, riceve sovvenzioni e contributi da grandi appaltatori della difesa americana.
"Le operazioni quotidiane sono in corso su diversi fronti", avrebbe affermato Al-Baghdadi, facendo riferimento anche a regioni come il Mali e più genericamente il Levante, senza però specificare le zone esatte.
"Come può un musulmano godersi la vita?", avrebbe aggiunto il leader del Daesh, chiedendo come i suoi seguaci possano "accettare di vivere mentre le donne musulmane soffrono nei campi della diaspora e nelle prigioni di umiliazione sotto il potere dei crociati?"
“Per quanto riguarda la cosa peggiore e più importante, le carceri, le carceri, oh soldati del califfato! Fate del vostro meglio per liberarli”, si legge in quella che dovrebbe essere la trascrizione della registrazione originale.
Il rapporto dell'Istituto sostiene anche che la raccolta dei fondi per la campagna sarebbe stata effettuata attraverso canali crittografati, come Telegram, a partire probabilmente da giugno di quest’anno. Il gruppo sarebbe già attivo nei campi di sfollamento nel nord della Siria e ora si starebbe preparando a condurre azioni in tutte le prigioni di Iraq e Siria.
Il rapporto è arrivato dopo che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva avvertito Europa e gli altri alleati dell'urgenza di riprendere i combattenti stranieri originari dell'Europa dai campi di sfollamento, sostenendo che se non fossero riusciti a rimpatriare i prigionieri, gli Stati Uniti li avrebbero rilasciati ai confini europei.
“Vengono principalmente dall'Europa e abbiamo fatto loro un enorme favore ... Quindi devono prendere la loro decisione. Altrimenti, li rilasciamo alla frontiera ", aveva detto Trump ai giornalisti dell'Ufficio Ovale venerdì scorso in occasione della conferenza stampa seguita all’incontro con il Primo Ministro australiano Morris.