Il 15 aprile 2019 la Russia ha posto completamente fine alla cooperazione con la NATO sia a livello civile che militare. Questa dichiarazione è arrivata dal vice ministro degli Esteri della Russia Aleksander Grushko, specificando, in una intervista con Sputnik che “la NATO stessa ha rinunciato a un'agenda positiva nei rapporti con la Russia. Essa non esiste. E non vi è alcuna indicazione su come la NATO possa uscire da questa situazione di stallo".
Oggi, alla luce delle rinnovate tensioni tra Russia e Occidente, è difficile immaginare come la leadership russa possa anche solo prendere in considerazione la possibilità di entrare a far parte della NATO. Eppure nella storia della Russia post sovietica ci sono stati progetti che vedevano Mosca all'interno dell'architettura difensiva occidentale. Chiaramente non si trattava della volontà di entrare nella NATO, quanto più di un cambiamento di posizione dell'URSS nei confronti dell’Europa e in generale dei partner occidentali, non più in contrapposizione ma in coesistenza pacifica.
Igor Pellicciari, Professore presso l’Università degli Studi di Lecce, Professore associato presso l’Higher School of Economics di Mosca, consulente di IBM Consulting Services a Bruxelles, ed ex Console onorario della Federazione Russa, ha raccontato a Sputnik Italia i particolari di questo periodo unico nelle relazioni tra Mosca e l’Occidente, e di come queste ultime siano cambiate nel corso degli ultimi anni.
- In molti, sia in URSS che in Occidente pensavano che al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica la NATO avrebbe perso la sua stessa raison d’etre in quanto alleanza di difesa contro il blocco comunista. Perché questo non è avvenuto?
- Perché nelle primissime fasi della Russia post sovietica (1991-1992) c’è stata una volontà da parte di Mosca ad entrare a far parte della NATO?
- Io appartengo alla scuola di pensiero che la Russia sia più in discontinuità con l’URSS che in continuità. Penso che l’Occidente faccia spesso l’errore di pensare alla Russia come un'automatica continuazione del periodo sovietico. (...) Poi è evidente che alcuni elementi resistono, ma sono elementi antropologici e culturali, forse ereditati a loro volta dal periodo sovietico. Sicuramente, da come l’ho vista io, vivendo a Mosca, ho avuto l’impressione, e lavorando comunque con l’Unione Europea per un lungo periodo, che a un certo punto la tensione sia stata esacerbata dall’Occidente nel momento in cui la Russia ha rialzato la testa e non ha più accettato di vivere la narrazione di paese sconfitto dalla guerra fredda, (oltretutto i russi non pensano di esserne usciti sconfitti da quel periodo, pensano loro di aver cambiato il sistema).
- È stata più la Russia a livello interno a sfilarsi da una possibile entrata nella NATO o piuttosto un’opposizione dell’Alleanza stessa all’inclusione di Mosca?
- Penso che gli anni ‘90 siano stati un periodo di sincera apertura verso l’Occidente, anche molto confusa, anche di idealizzazione del mondo occidentale e con il consolidarsi dell’idea di stato nazione, di sovranità, si fa presto a dire con l’arrivo della presidenza Putin, l’idea di entrare nella NATO, che intanto si era fatta strada anche politicamente, è stata rigettata non tanto dai russi, ma dalla NATO stessa. Si, perché in fin dei conti serve sempre un nemico prevedibile e il duellante non ha ragione di esistere se è da solo, ha sempre bisogno di un avversario.
- Sullo sfondo del costante allargamento della NATO iniziato a metà degli anni 90, la creazione prima del Founding Act sotto Eltsin e poi del NATO-Russia Council sono da considerare come una concessione da parte dell’Alleanza Atlantica alla Russia o come un tentativo reale da parte Occidentale di costruire un vero dialogo?
- Penso che non ci sia stata nessuna concessione. Direi che quello era un periodo nel quale le dinamiche interne della Russia erano predominanti su quelle estere. Per cui no. La Russia negli anni ‘90 ha vissuto un periodo unico nella storia perché improvvisamente un paese enorme, che decide le sorti del mondo, si ritrova beneficiario di aiuti internazionali dell’ONU, che in qualche modo sono anche imposti dall’esterno. Quindi tutte le iniziative dell’epoca vanno lette in questa cornice unica, di una sorta di aiuto imposto nel quale il donatore ha più interessi del beneficiario.
- Lei pensa che ci sia una certa continuità della politica di Eltsin in quella di Putin per quanto riguarda la NATO?
- 2000-2005: Il periodo delle spie. Quando l’intelligence è stata ai vertici del governo perché l’obiettivo era quello di mettere in sicurezza il paese. C’era il timore che il paese potesse essere quasi perso a vantaggio di fattori esterni, non solo statutari, anche imprenditoriali, a livello di monopoli, sfruttamento delle risorse e quant’altro.
- 2005-2010: Una volta raggiunto questa sicurezza l’obiettivo primario è diventato quello di creare una classe sociale medio-bassa, economica, solida, che portasse il consenso nel paese da chi ha più denaro a chi ha consenso politico. Oggi non si può essere liberi nella Russia se non si ha consenso. Infatti si può dire che quindici anni fa il denaro era più importante del consenso, per fare questo ci voleva una classe medio bassa soddisfatta. Penso che l’élite che fa parte della seconda fase sia stata quella dei giuristi. Sono stati messi al centro di questa riorganizzazione dello stato di diritto: le regole, la giustizia, la certezza del diritto in particolare per questa nuova classe medio-bassa.
- 2010-oggi: nella fase che stiamo vivendo oggi l'élite principale è costituita dai diplomatici perché l’obiettivo principale del paese è riprendersi il ruolo internazionale che il paese pensa di meritarsi. Questa cosa spiega il perché i diplomatici sono tornati ad essere così importanti mentre fino poco tempo fa erano quasi irrilevanti.
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