Siamo entrati in una prolungata fase sperimentale, in cui gli elettori riconsiderano e riorientano di continuo le loro preferenze sulla base dei bisogni percepiti istante per istante e di quanto promettono loro le forze politiche per soddisfarli.
Questa tendenza ha trovato conferma anche in molti degli altri paesi che si sono misurati con il rinnovo della propria delegazione al Parlamento europeo. In Francia si è consolidato un bipolarismo nuovo, già emerso in verità in occasione delle presidenziali vinte da Emmanuel Macron sulla Le Pen, mentre in Gran Bretagna il mancato perfezionamento della Brexit non ha comportato solo le dimissioni del premier Theresa May, ma il tracollo dei partiti tradizionali, scesi a percentuali bassissime. Probabilmente, la formazione fondata e guidata da Farage non avrà prospettive politiche ulteriori, ma la sua affermazione in occasione delle europee sembra dimostrare il momento di acuto pragmatismo che stanno vivendo gli elettori del Vecchio Continente.
In Italia si sono verificati almeno tre fatti eclatanti. Il primo è che, in termini percentuali, la maggioranza di governo non ha visto diminuire i suoi consensi. Alla stampa l’esecutivo gialloverde forse non piace, ma a dispetto dei suoi mugugni tiene.
Il secondo è che all’interno dell’alleanza che detiene il potere nel Bel Paese i rapporti di forza si sono completamente ribaltati in meno di un anno, probabilmente anche a causa della capillare azione propagandistica svolta da Matteo Salvini su tutto il territorio nazionale. Il terzo è che a sinistra ha dato cenni di ripresa il Partito Democratico, specialmente nei grandi centri urbani come Roma e Milano.
A dispetto della sua spettacolarità, il ridimensionamento dei Cinque Stelle non implicherà necessariamente la caduta dell’esecutivo.
Per quanto la situazione nel paese reale appaia attualmente molto diversa da quella del 4 marzo 2018, infatti, la distribuzione dei deputati e dei senatori che debbono accordare la loro fiducia al Governo non ha subìto variazioni. Ci saranno certamente tensioni, perché forte del consenso ottenuto Salvini cercherà di ottenere un aggiornamento del contratto di coalizione che dia maggior soddisfazione agli interessi che la Lega tutela.
La prospettiva di nuove elezioni politiche non dovrebbe allettare neppure il Presidente della Repubblica, che in Italia è titolare del potere di sciogliere le Camere. Si dice che Sergio Mattarella avrebbe considerato con favore il formarsi di una maggioranza di centro-sinistra composta da Pd e pentastellati, ma il voto europeo dovrebbe averlo convinto che nel paese reale i numeri per questa soluzione non esistono.
Sullo sfondo, si staglia l’ombra minacciosa di una manovra che al Quirinale vorrebbero probabilmente venisse fatta dall’attuale maggioranza, che però non appare disponibile a ridurre le spese e confida ancora che in Europa si determinino margini che permettano a Roma di sfondare i tetti concordati per deficit e debito.
Di uno sviluppo in questa direzione non si intravede però alcuna avvisaglia. Anzi, si parla insistentemente di una multa da 3,5 miliardi di euro in arrivo nei confronti dell’Italia per debito eccessivo. Che alla testa della Bce arrivi poi un campione del rigorismo come il tedesco Weidmann o comunque un banchiere allineato sulle sue posizioni pare ancora meno incoraggiante. Ha quindi ragione Salvini: ci saranno momenti difficili.
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