“Il sorvolo di New Horizons ha sì svelato molte proprietà di Ultima Thule, ma ha anche lasciato irrisolti diversi misteri. Sebbene al momento questi rimangano tali, al momento riusciamo comunque a capire meglio come apparisse l’ambiente in cui nacque questo oggetto e in che modo piccoli pianeti embrionali si fossero uniti a creare un corpo celeste più grande”, spiega Alan Stern, direttore della missione New Horizons.
A inizio gennaio 2019 la stazione interplanetaria New Horizons è stata la prima sonda dai tempi delle Voyager ad aver visitato aree così lontane del Sistema solare. Il suo primo obiettivo era Plutone di cui la sonda è riuscita a scattare splendide immagini nel luglio del 2015. Il suo secondo obiettivo, invece, era 2014 MU69 a cui è stato dato il controverso nome ufficioso di Ultima Thule.
Le prime immagini di Ultima Thule hanno dimostrato che questo pianeta è simile a un gigante “pupazzo di neve” composto da due “sfere” di ghiaccio di diverse dimensioni a contatto fra loro, grande Thule e piccola Thule. In seguito, Stern e i suoi colleghi grazie alle nuove immagini hanno appurato che in realtà si tratta di una bizzarra coppia di strutture circolari appiattite simili a frittelle molto spesse.
Dopo aver ricevuto i primi dati scientifici raccolti dai 7 dispositivi presenti su New Horizons al momento di massimo avvicinamento al corpo celeste, Stern e la sua squadra hanno tentato di determinare che cosa fece assumere a queste strutture la loro forma e a unirsi a formare un pupazzo di neve.
Queste osservazioni hanno contribuito a verificare i dati già noti su Ultima Thule, ma anche a scoprire una serie di proprietà nuove e inaspettate del nuovo corpo celeste della fascia di Kuiper. Ad esempio, gli scienziati misurando la disposizione precisa dell’asse di rivoluzione di questo corpo celeste sono riusciti a capire che il pianeta di fatto è disposto quasi fosse girato sul fianco rispetto alla sua orbita, un po’ come nel caso di Urano.
The latest images of Ultima-Thule, the farthest and most primitive object in the Solar System visited by a spacecraft, reveals that it's shaped a bit like a flat snowman. (📷: NASA/Johns Hopkins Applied Physics Lab/Southwest Research Inst./National Optical Astronomy Observatory) pic.twitter.com/jLtiJ9J5la
— Quite Interesting (@qikipedia) 13 февраля 2019 г.
Inoltre, gli scienziati non hanno rinvenuto sulla superficie di Ultima Thule molti grandi crateri. Questo è sintomo del fatto che in quest’area della fascia di Kuiper ci siano meno asteroidi, il che è un elemento di sorpresa per i planetologi.
Gli scienziati non hanno nemmeno trovato deformazioni o irregolarità che si sarebbero potute formare se le due metà del corpo celeste si fossero scontrate a velocità abbastanza elevata.
Si può, dunque, affermare che il corpo celeste si è formato in seguito a un lentissimo avvicinamento di Ultima e Thule nei primi istanti di vita del Sistema solare quando i corpi celesti alla sua periferia ancora non erano riusciti a prendere velocità.
Il loro aspetto, la loro velocità di rivoluzione e caratteristiche superficiali di fatto non sono cambiati dal momento in cui Ultima e Thule si sono fuse. Ciò rende questo “pianeta piatto” un artefatto sui generis che è arrivato fino a noi conservando il suo stato originale.
Ad oggi gli scienziati non sono in grado di affermare come precisamente le due metà Ultima e Thule abbiano acquisito la loro insolita forma. Responsabili di questo potrebbero essere vari fattori: le insolite modalità di scontro dei loro avi, le caratteristiche strutturali degli elementi originari, le forze esercitate su di essi durante le fasi di avvicinamento e fusione.
Analogamente, al momento non si riesce a spiegare in che modo siano comparse le misteriose macchie bianche rilevate sulla superficie di Ultima a gennaio di quest’anno. Stern e i suoi colleghi ritengono che possano essere vallate riempite di sottili polveri raccoltesi lì, ma provenienti da altre regioni del corpo celeste.
I ricercatori non escludono che si possano celare negli strati più profondi del sottosuolo del pianeta anche altre sostanze come l’ammoniaca, il metano e il monossido di carbonio. Da lì non riescono ad evaporare per via delle temperature troppo basse e dell’eccessiva distanza dal Sole.
Al momento la sonda ha percorso circa 6,64 miliardi di km dalla Terra e si trova in “ottime condizioni”. Gli scienziati sperano nei prossimi due anni di trovare un altro obiettivo da avvicinare, cosa che accadrà approssimativamente alla fine del 2020.
New Horizons ad oggi ha trasmesso alla Terra poco più del 10% dei dati raccolti durante il sorvolo su Ultima Thule. I planetologi sperano che il restante gruppo di immagini e misurazioni contribuirà a svelare nuovi segreti di questo misterioso corpo celeste e a comprendere com’era il Sistema solare nei primi attimi della sua esistenza.