Le cosiddette “code mareali” individuate dal team attorno all’ammasso e la loro distribuzione nello spazio suggeriscono che Omega Centauri sia in realtà ciò che rimane di una galassia nana in parte disgregata dall’interazione con nostra Galassia. I risultati di questo studio, pubblicato in un articolo sull’ultimo numero della rivista Nature Astronomy, sono stati ottenuti grazie all’analisi degli accuratissimi dati sulla posizione e i moti propri stellari forniti dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea, che vede una importante partecipazione scientifica dell’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Agenzia Spaziale Italiana che partecipano al Data Processing and Analysis Consortium (DPAC).
I ricercatori – si legge in un comunicato dell’Inaf – sono andati letteralmente a setacciare le regioni circostanti all’ammasso, alla ricerca di stelle “perse” lungo la sua orbita all’interno della Via Lattea. Infatti, quando una galassia nana interagisce con una galassia massiccia come la nostra, almeno una parte delle sue stelle le viene strappata dalla forza di marea. Le stelle strappate dall’ammasso non sono più gravitazionalmente legate ad esso ma hanno orbite simili, e dunque si dispongono in strutture strette e allungate sul percorso dell’orbita (le code mareali), che possono rimanere coerenti anche per lungo tempo.
I dati delle proprietà dinamiche delle stelle di Omega Centauri e di quelle nelle regioni ad esso circostanti ottenuti dalla missione Gaia e l’algoritmo sviluppato ad hoc ha permesso ai ricercatori di dimostrare la presenza di questo flusso stellare anche in una zona del cielo con un’alta densità di stelle della nostra galassia.
“Il prossimo passo sarà quello di migliorare il modello teorico che descrive questa struttura, per ricostruire con maggiore precisione la storia evolutiva della galassia nana progenitrice di Omega Centauri – conclude Bellazzini – Ci aspettiamo così di trovare ancora più stelle perse da questo oggetto celeste nell’alone della Via Lattea”.
Fonte: Askanews