"Quando le cellule immunitarie vengono infettate dall'HIV, sono in grado di inviare segnali di pericolo ai sistemi ancora sani aiutandoli a prepararsi all'infezione. È stato osservato che la proteina Vpu, che contribuisce alla formazione di nuove particelle del virus, è in grado di reprimere queste grida d'aiuto", spiega Simon Langer dell'Università di Ulma (Germania).
Di recente i biologi hanno appurato che il virus si "trincera" non solo nelle cellule T che vengono solitamente infettate, ma anche nei cosiddetti macrofagi, cellule ameboidi che distruggono batteri, particelle tossiche e altri elementi di disturbo. Questa scoperta ha indotto gli studiosi a ricercare altri "bunker" dell'HIV, nonché metodi per scacciare il virus.
Langer e i suoi colleghi hanno scoperto uno dei possibili meccanismi con cui il virus si nasconde dall'azione del sistema immunitario durante questo "letargo" e hanno trovato un'altra inaspettata e pericolosa caratteristica dell'HIV mentre studiavano la struttura e le funzioni di varie proteine presenti all'interno del virus stesso.
Le ultime scoperte, come sottolinea Langer, hanno portato il suo team ad appurare se questa molecola del virus avesse anche altre funzioni. Per questo, gli scienziati hanno creato nuove versioni dell'HIV nelle quali la Vpu è stata danneggiata in vari modi e hanno verificato se questo influisse sul loro processo di manifestazione e riproduzione all'interno delle cellule.
È emerso che questa piccola proteina svolge un ruolo essenziale per il ciclo vitale dell'HIV. Non solo ha neutralizzato il CD4, ma ha anche alterato il funzionamento del complesso proteico NF-kB, responsabile della produzione di interferoni, ovvero molecole che impediscono ai virus di moltiplicarsi e che informano tutte le altre cellule del pericolo.
Dunque, la cellula contaminata "perde la sua voce" e non riesce a comunicare alle altre la presenza del virus al suo interno nemmeno nel caso in cui l'HIV si comporti in maniera relativamente tranquilla e non ostacoli il funzionamento della cellula. Così facendo l'agente patogeno rimane invisibile per il resto del sistema immunitario.
"È totalmente possibile che proprio lo spegnimento dell'NF-kB non permetta ai farmaci esistenti di distruggere completamente tutte le tracce dell'infezione nell'organismo. Speriamo che i dati da noi raccolti ci aiutino a capire in che modo si possa attivare l'HIV dormiente e sconfiggerlo", conclude Daniel Sauter, collega universitario di Langer.