Se invece si va a vedere i dati di Eurostat, l'agenzia di statistica ufficiale dell'Unione Europea, si ricava una serie di informazioni decisamente più corrispondente ai fatti reali della vita quotidiana di milioni di europei. Questi dati che seguono si riferiscono al 2017, ma c'è motivo di credere che non siano migliorati nell'anno che si sta chiudendo.
Ma l'Italia — questa volta assieme alla Spagna — ha un altro record negativo: la percentuale di lavoratori che vivono in famiglie che sono sotto la soglia di povertà. Il 12% per l'Italia, il 13% per la Spagna. Che cosa significano questi due dati? Che si tratta di persone non disoccupate, che lavorano, ma che non riescono con il loro salario a uscire dalla povertà. Che significa non solo il livello letteralmente "di fame" della paga che ricevono, ma soprattutto gli effetti del job act e di tutti i trucchi affini che hanno praticamente distrutto il lavoro a tempo pieno e costretto la maggioranza di chi lavora a contratti part time, temporanei, occasionali, flessibili e così via dimezzando.
Il dato tedesco dei "working poor" è proprio la dimostrazione palmare di questo assunto. Nella ricca e prospera Germania il loro numero è sì inferiore a quello della media dell'Unione Europea (solo il 9,1%), ma è addirittura il doppio di quello che era dodici anni fa. Le cosiddette "riforme del mercato del lavoro", dovunque in Europa, hanno peggiorato le condizioni di vita dei lavoratori, e hanno accresciuto la distribuzione della ricchezza a vantaggio dei ricchi.
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