Il 7 dicembre 1988 alle 11:41 del mattino la terra tremò come mai successo prima nel nord dell'Armenia. L'epicentro del terremoto, di magnitudine 6,8, fu localizzato nella città di Spitak, che venne completamente rasa al suolo in meno di 30 secondi.
In totale furono 21 le città del nord dell'Armenia colpite dai danni provocati dal sisma, il cui bilancio in termini di vite umane è tuttora impressionante: 25 mila vittime accertate, 140 mila invalidi, più di mezzo milione di sfollati.
Nikolay Tarakanov, generale dell'esercito sovietico a capo delle operazioni di soccorso, commentò così la scena che si trovò di fronte ai suoi occhi:
"Spitak fu persino più terribile di Chernobyl. A Chernobyl ti prendevi la tua dose di radiazioni e fatti tuoi. Del resto la radiazione è un nemico invisibile. Qui invece c'erano corpi dilaniati, urla da sotto le rovine. Il nostro compito principale non fu solo quello di aiutare a estrarre dalle macerie i superstiti, ma anche dare una degna sepoltura ai morti"
Il giorno della catastrofe l'allora segretario generale del PCUS, Mikhail Gorbachev, era in visita negli Stati Uniti: appresa la notiza, con un gesto mai visto prima, rivolse un appello alla comunità internazionale, chiedendo supporto nelle operazioni di soccorso e ricostruzione.
Nelle settimane successive al sisma arrivarono aiuti da più di 111 paesi del mondo, tra cui l'Italia, che inviò in Armenia una missione sotto l'egida del Dipartimento di Protezione Civile, nato dopo il terremoto dell'Irpinia del 1980.
Grazie all'intervento italiano, nel 1989 venne costruito un centro abitativo chiamato "Villaggio Italia", con 204 case dotate di tutti i comfort di base per accogliere altrettante famiglie sfollate.
Nel 1991 ad Ashotsk, villaggio di montagna situato all'altitudine di 2000 metri, 50 km a nord dall'epicentro del terremoto, la Caritas costruì l' ospedale "Redemptoris Mater", funzionante tuttora e gestito dalla Fondazione San Camillo.
Avvertenza: le immagini di questa galleria fotografica, tratte dagli archivi di MIA ROSSIYA SEGODNYA, documentano con crudezza la tragica situazione che si trovarono di fronte i soccorritori ed i superstiti del sisma di trent'anni fa. La scelta di mostrarle è dettata unicamente dal loro valore storico, per rendere omaggio alla memoria di chi ha perso la vita in questa catastrofe e di chi ha fatto il possibile per alleviare la sofferenza altrui.



















