Lascio a ciascun lettore esprimersi sulle prime due ma, per quanto riguarda la terza asserzione, quanto succede in merito allo status di Gerusalemme lo conferma. Nella storia che conosciamo, nessuna religione è mai stata interessata a far coincidere una delle proprie città sante con la capitale politica e tantomeno lo han fatto i musulmani: Najaf, Qom, Medina e La Mecca sono sante e oggetto di pellegrinaggio, ma le capitali degli Stati sia con maggioranze sciite sia sunnite sono altrove. Di là dagli alibi utilizzati e dalle strumentalizzazioni che ne sono fatte, ciò che succede da anni a Gerusalemme è una questione politica e non religiosa, e come tale va affrontata.
E' indubbio che questo voto, seppur non vincolante (nel Consiglio di Sicurezza — questo sì vincolante se unanime tra i Grandi — gli USA avevano posto il veto su questa Risoluzione), rappresenti un importante isolamento internazionale degli Stati Uniti e, come visto dalle reazioni compatte del mondo arabo, ponga un impedimento forse insuperabile a ogni futuro ruolo di mediazione americana nel conflitto Medio — Orientale.
Primo: la decisione di riconoscere quella città come capitale di Israele non nasce con Trump, ma è una costante di tutti i Presidenti americani a partire da una legge in tal senso approvata dal Congresso nel 1995. Ognuno di loro prorogava poi l'effettiva esecuzione di sei mesi in sei mesi e così ha fatto lo stesso Trump per ben due volte. La novità è l'annuncio di voler cominciare a rendere esecutiva la decisione. Il farlo, tuttavia, richiederà un tempo tecnico di qualche anno e, nel frattempo, tante cose potrebbero accadere.
Secondo: sono venti anni che è stato creato un ipotetico processo di pace (MEPP) che immagina la nascita di "due popoli/due Stati" e da allora nessun progresso ha avuto luogo. Al contrario, più il tempo passa in sterili e finte negoziazioni, più aumentano gli insediamenti di coloni israeliani (spesso i più fanatici) nei Territori Occupati con l'evidente obiettivo di creare situazioni irreversibili come "stato di fatto". Da parte israeliana, e almeno con i Governi sostenuti dalla destra religiosa, non esiste nessuna reale volontà di accettare la nascita di un vero Stato Palestinese: al massimo potrebbero concordare su una specie di "Bantustan". Da parte palestinese non si vuole rinunciare al fattore propagandistico del "diritto al ritorno" di coloro che se ne andarono dall'attuale Israele a causa delle guerre, pur sapendo che tale soluzione è totalmente inaccettabile per la controparte.
Terzo: lo stesso Presidente nella dichiarazione pronunciata dopo aver informato Abu Mazen, l'erede al trono saudita Bin Salman e Putin, ha sostenuto che il futuro trasferimento dell'Ambasciata non implica per nulla il riconoscimento dei confini dei due Stati, la qual cosa dovrà, comunque, essere ancora oggetto di accordo tra le parti.
Se non si tratta di parole al vento, significa che Trump non riconosce "l'unicità e l'indivisibilità" di Gerusalemme, lasciando aperta la porta ad altre soluzioni come, ad esempio, quella avanzata da Mosca che riconosce Gerusalemme Ovest quale capitale di Israele e permette l'ipotesi che Gerusalemme Est lo diventi per il futuro e possibile Stato Palestinese.
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