È passato un anno da quel terribile primo luglio, quando al ristorante Holey Artisan Bakery di Dacca un gruppo di estremisti islamici torturarono e uccisero 22 persone, fra cui 9 italiani. Questo primo luglio in Bangladesh i famigliari delle vittime, gli ambasciatori stranieri e le autorità bengalesi hanno commemorato il primo anniversario della strage.
In Italia la gran parte dei media invece non ha ritenuto opportuno segnalare la notizia della cerimonia svoltasi a Dacca, senza dare spazio così alla memoria dell'orribile massacro, in cui persero la vita ben 9 cittadini italiani. Simone Codara, vedovo di Maria Riboli, una delle vittime della strage, ha rilasciato un'intervista a Sputnik Italia sulle commemorazioni svoltesi in Bangladesh.

— Dopo la morte di Maria, oltre il dolore che abbiamo provato io e i famigliari, abbiamo cercato di accumulare più informazioni possibili sull'accaduto. Questo per fare chiarezza, conoscere la verità ed è stato anche un modo per riavvicinarci a lei. Abbiamo partecipato due volte alle iniziative del consolato del Bangladesh che ci ha ospitati e abbiamo conosciuto la Console e anche il consigliere della regione Lombardia Tizzoni. Io volevo molto andare in Bangladesh per vedere il posto al quale mia moglie era così legata, al di là del suo lavoro.
Appena ho avuto il contatto ho accettato di essere accompagnato dalla delegazione della Lombardia e ci siamo recati alla commemorazione il primo luglio a Dacca.

— No, è tutto fermo all'autopsia, il responsabile delle indagini è il pm Scavo. Bisogna aspettare tutto quello che passa attraverso Dacca. Non sappiamo niente, siamo all'oscuro di tutto, noi sappiamo solo quello che è sui giornali.
La matrice jihadista dell'attentato credo che sia stata appurata, non ci sono dubbi su questo. Finché l'indagine non sarà chiusa però i fondi non potranno essere sbloccati. Stanno cercando di garantire già a qualche famiglia un po' di tranquillità economica, per il momento però di definitivo non c'è ancora nulla.
— La notizia sul primo anno dal tragico attentato non ha trovato spazio sui media italiani. Secondo te perché?
— I media tacciono. Personalmente ti senti sostenuto invece dallo Stato e dal governo italiano? Dopo un anno dalla strage le famiglie hanno avuto appoggio dalle istituzioni?
— Le famiglie delle vittime sono state ricevute anche dal Papa, che ha espresso solidarietà e vicinanza al nostro dolore. Lo Stato si sta attivando per dare sostegno anche economico a tutte le famiglie. Anche nei miei confronti si è parzialmente attivata la procedura, ma le pratiche vanno ancora completate, sempre per il motivo dell'indagine tuttora aperta. Per fortuna alla fine ho trovato lavoro.
Quello che più mi preme è il bisogno di fare chiarezza sull'indagine, si cerca sempre di conoscere la verità, soprattutto quando riguarda i tuoi famigliari e quando avviene una cosa che sembra ai confini della realtà. Si trattava di persone che hanno dato la propria vita al lavoro, poi accade questa strage, metti in discussione tutta la tua esistenza. Una persona va a lavorare all'estero con tutti i sacrifici e poi fa una fine del genere. Questa storia sconvolge la vita di tutti noi.

— Il discorso della convivenza fra le religioni ci riguarda tutti, soprattutto in questo momento. Andando ora in Bangladesh ho visto che lì in effetti stanno cercando di rimettere in ordine le cose, anche se l'islamismo radicale si sta diffondendo e molti imprenditori italiani per esempio se ne stanno andando. Queste tragedie, come l'attentato dell'anno scorso, vanno chiarite, sarebbe meglio per tutti.
— Il 13 luglio Mattarella dovrebbe accogliere le famiglie delle vittime. Che ne pensi di questo gesto?
— Se Mattarella rappresenta il popolo italiano è giusto che tutti i parenti vadano all'incontro. Io ho avuto diverse occasioni per andare a Roma, non sempre sono rimasto soddisfatto di questi incontri, perché mi aspettavo di conoscere di più. Che le istituzioni diano considerazione ai famigliari fa ovviamente piacere. Se non riuscirò ad essere presente per motivi di lavoro infatti, sicuramente da parte nostra ci sarà un altro parente.
— Come vorresti chiudere l'intervista?
— Nonostante tutto quello che è accaduto e che ci stravolge, tutti noi stiamo cercando di farci forza per riuscire a tornare ad una vita normale, soprattutto per i nostri figli, per i più giovani.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.