La “favolosa” stagione di rivoluzioni contro i “presunti” regimi del Nord Africa e Medioriente, aveva sollevato speranze, erudite riflessioni sulla democrazia, ribalzate all’attenzione dell’opinione pubblica nei nuovi social, che hanno iniziato a proporre approfondite analisi sul cambiamento della geopolitica, sollecitato dai popoli ormai stanchi e oppressi dai conflitti. Ma a distanza di quegli eventi, guarda caso salutati come “la speranza dei popoli”, da un occidente malato e ideologizzato, sul terreno ci sono solo vittime, fisiche e morali.
L’Arabia Saudita, nel suo anacronistico connubio tra zelo religioso e petrodollari, modernità tecnologica e struttura statuale arcaica, fondata su clan e famiglie principesche, vuole mantenere il suo ruolo di arbitro regionale, pronta a rinsaldare la sua alleanza strategica con gli Stati Uniti nel caso l’Iran volesse approfittare della debolezza del fronte arabo sunnita. Da ultimo la crisi economica, che nella congiuntura rivoluzionaria ha conosciuto un ulteriore peggioramento, portando con sé il rischio di esasperare gli antagonismi sociali e generare nuove derive autoritarie.
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