Conoscere il passato è fondamentale per capire anche il presente, la memoria del 25 aprile è di estrema importanza per l'Italia di oggi, che evidentemente non ha ancora fatto i conti con il fascismo e la Resistenza. La festa della Liberazione dal nazifascismo in Italia nel corso degli anni è stata vissuta attraverso il prisma politico e ideologico, mettendo da parte a volte i valori, che presero vita nel biennio del '43-'45.
Il 25 aprile, giorno di tutti gli italiani, continua a dividere l'Italia. Sputnik Italia ha raggiunto per un approfondimento Marco De Nicolò, professore di storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Cassino e Agostino Bistarelli, referente per la ricerca della Giunta Centrale per gli Studi Storici.
— Professore De Nicolò, il 25 aprile quali trasformazioni ha subito nel corso degli anni?
— La linea di continuità è data dal fatto che il 25 aprile è l'unica festa civile che è rimasta inalteratamente in vigore per tutto il periodo della Repubblica. A volte è stata sospesa per esempio quella del 2 giugno, il 4 novembre è stato a volte cancellato dal calendario civile, mentre il 25 aprile è rimasto sempre.
Il 25 aprile ha subito diverse trasformazioni, è stato sempre soggetto anche a una capacità di sollevare polemiche che non erano necessariamente legate alla guerra di Liberazione. È una festa civile che dovrebbe essere inclusiva, perché rinvia ai valori della Resistenza. Se si crede, come io credo, al nesso fra la Resistenza, la Repubblica e la Costituzione, questa data rinvia anche ai principi contenuti nella prima parte della Costituzione, in cui tutti gli italiani dovrebbero ritrovarsi.
Questo non è avvenuto sempre, molto spesso è cambiato il 25 aprile: a causa della guerra fredda, poi ci si è ritrovati nei periodi successivi al '55 e al 1960. Abbiamo un'alternanza di momenti in cui il 25 aprile ha rappresentato effettivamente la forza e il valore della Resistenza, ma anche periodi di uso strumentale della festa per parlare di polemiche, che con la festa c'entrano poco.
— Si tratta di una festa strumentalizzata quindi più volte dal punto di vista politico e ideologico. In questo contesto quanto è importante l'approccio scientifico, l'indagine e il lavoro degli storici?
— Credo che bisognerebbe proprio ritornare alle fondamenta storiche, non solo perché la storia è utile per la formazione di una coscienza critica di ogni cittadino, ma perché la festa si spoglierebbe di tutto ciò che è strumentale. Il 25 aprile ci ricorda che nel biennio fra il '43 e il '45 alcuni italiani salvarono la dignità e la faccia ad altri che avevano sostenuto il regime. I giovani cresciuti dentro il fascismo e che nel '43 ebbero occasione di staccarsene fecero una scelta esistenziale. Mi pare un aspetto che non debba essere dimenticato. Il 25 aprile ha una valenza importante dal punto di vista della ritrovata libertà, la libertà che il fascismo aveva negato. Non mi sembrano valori da poco. La vita di ogni nazione attraversa comunque fasi che possono essere più o meno coerenti, però riandare a quei valori credo sia come per un navigante non perdere di vista il faro.
— Anche quest'anno sono esplose le polemiche, nel caso specifico fra l'Anpi e la comunità ebraica. Perché a suo avviso la liberazione dal nazifascismo divide tuttora così tanto gli italiani?
— Il 25 aprile non è stato sempre divisivo, ricordo che il 25 aprile del 1978 la festa si svolse nel contesto del rapimento di Aldo Moro. Non era stato ancora ucciso e il 25 aprile fu una data significativa, perché si ritrovasse in quello spirito la difesa della Repubblica democratica. Fu una ricorrenza inclusiva.
Il 25 aprile molto spesso è stato usato da alcune forze politiche come una sorta di clava e ne hanno tratto pretesto per una polemica relativa all'attualità. Capisco il punto di vista dell'Anpi che pensa che il 25 aprile sia una festa inclusiva, capisco anche in parte la comunità ebraica che vuole partecipare con i propri vessilli in sicurezza. Il 25 aprile dovrebbe prima di tutto rinviare all'idea che chi vive nella Repubblica Italiana apprezza quei principi.
Per questo spero che sia più forte il peso della storia e degli storici, perché se rimaniamo alle polemiche strumentali che ogni 25 aprile si attivano, perdiamo di vista il senso della nostra comunità. Io sono convinto che i nostri valori di riferimento debbano essere lì. Se noi oggi viviamo seppur fra mille difficoltà nella nostra Repubblica potendo sempre esprimere in libertà la nostra opinione, potendoci recare alle urne, se ci va, dobbiamo anche pensare che una volta questo non era possibile. Non è un bene da perdere. È come quando una persona sana non è pienamente consapevole del suo stato di salute e lo apprezza solo quando comincia ad ammalarsi.
— Professore Bistarelli, perché il 25 aprile divide così tanto gli italiani? L'Italia non ha ancora fatto tutti i conti con il fascismo e la Resistenza?
— L'Italia non ha fatto i conti non solo con il fascismo, ma anche con la guerra nel suo complesso ed è per questo che la riflessione sulla liberazione trova difficoltà a diventare patrimonio comune, sia dal punto di vista storiografico sia da quello della cittadinanza. Il problema non è tanto il carattere divisivo della Liberazione, quanto piuttosto questa data possa essere considerata momento fondativo della nuova Repubblica.
— Secondo lei sono stati commessi degli errori nel raccontare la Liberazione da un punto di vista storiografico e mediatico?
— Errori forse no, non c'è stata una lettura degli eventi sbagliata da un punto di vista storiografico. Il problema è che la dimensione storiografica non si è accompagnata alla possibile produzione di una cultura storica dell'evento. La dinamica politica ha contrassegnato i 70 anni della storia italiana e ha lasciato spazio ad un'interpretazione politica della storia.
C'è stato uno scarto fra la produzione accademica e storiografica, la quale ha seguito dinamiche proprie, che non si sono incrociate con l'uso del racconto della Liberazione di altre agenzie produttrici di storie, come le istituzioni o i mass media. Questo scarto rappresenta un elemento di debolezza e di divisione.
— A fronte delle polemiche che nascono ogni anno il 25 aprile, che cosa bisognerebbe fare per non ragionare in termini leggendari e ideologici e ritornare all'essenza di questa festa? Bisognerebbe rivolgersi ai lavori degli storici?
— Pensare che raccontare la storia sia stato il compito degli storici non è possibile e neanche giusto. Forse è stato un vizio della storiografia italiana che si è pensata come autosufficiente nella produzione della cultura storica. Il problema fondamentale dal punto di vista delle basi scientifiche di una riflessione sulla liberazione, penso sia quello di riuscire a riportare gli eventi del 25 aprile del '45 non solo nel loro contesto più esteso, ma anche capire come la Resistenza italiana debba essere inquadrata in tutta la guerra mondiale. Se non si capiscono gli intrecci fra quello che è successo dall'8 settembre del '43 al 25 aprile del '45 in una parte di territorio italiano e nell'altra parte del territorio italiano, senza collegare poi il tutto alla situazione internazionale, si lascia spazio alla possibile lettura interessata di una singola motivazione. Poi si trova chi riconosce in questa data la fondazione della Repubblica, oppure un evento di egemonia di uno dei partiti politici, oppure come semplice collaborazione con inglesi ed americani e via dicendo.
Non mi preoccupano le singole polemiche che nascono di volta in volta, ma il fatto che queste polemiche rappresentino il segno di una debolezza della ricostruzione del nostro passato.
— Quanto è importante la memoria in generale e del 25 aprile in particolare per l'Italia di oggi?
— Il discorso sulla memoria va affrontato con due prospettive. È importante che nelle celebrazioni la memoria delle singole persone, che hanno partecipato a quegli eventi, possa trasmettersi per dare il senso del loro coinvolgimento. Dall'altro canto dobbiamo avere la consapevolezza che non basta lasciare spazio alla memoria per poter trasmettere i valori del 25 aprile, altrimenti deformiamo il loro significato, perché ognuno ricorda a seconda della propria esperienza. Lì si riproporrebbe la l'aspetto divisivo dell'evento.
Il problema è riuscire a fare in modo che queste memorie contribuiscano a fornire tante possibilità di riflessione, ma che devono a loro volta essere supportate da un lavoro scientifico, perché oggi si percepiscano i valori che hanno mosso le persone. Un conto è l'esperienza individuale, un conto è il suo contesto e gli effetti che ha provocato.
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