L'acronimo significa Web Activists Community, cioè "Comunità degli attivisti della Rete". L'occasione è stata creata, si può dire, dall'apparizione di un disegno di legge, a firma Adele Gambaro che si propone, in sintesi, di colpire la libera espressione delle opinioni sul web.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure". Ma la senatrice Gambaro (seguita da uno stuolo di senatori della Repubblica che hanno il suo stesso, sovrano disprezzo per la Costituzione cui hanno giurato fedeltà) ritiene che sul Web questa libertà di manifestazione non ha ragione di essere. E, stabilendo una serie di eccezioni cervellotiche, inventa e propone sanzioni gravi, anzi gravissime — fino alla reclusione —contro i cittadini che intendono esercitarla in Rete.
Si noti: le norme previste sono esplicitamente indirizzate contro i singoli cittadini, non contro i giornalisti professionisti, che scrivono e si esibiscono nei giornali e nelle televisioni, ma nei confronti di coloro che, attraverso la Rete, scrivono e dicono quello che pensano.
Il terzo tonfo si è registrato a dicembre in Italia. Per il "sì" alla cosiddetta riforma costituzionale erano schierati tutti i giornali principali e tutte le tv. Invece il risultato fu una clamorosa vittoria del "no". Così l'inquietudine dei poteri si è trasformata in angoscia. E dall'angoscia si è passati all'organizzazione di una risposta. Ma invece di chiedersi come mai giornali e tv hanno perduto una parte del loro "potere di convinzione"; invece di iniziare un'autocritica seria del loro appiattimento pressoché totale alla propaganda del pensiero unico, i gestori del potere informativo — anzi i loro maggiordomi — sembrano proporsi una linea repressiva su larga scala.
Mettere dunque la museruola al pubblico sembra essere la linea in corso di esecuzione. Il disegno di legge della Gambaro, in Italia, dopo la sua relazione al Consiglio d'Europa, sono due chiare indicazioni preliminari. Ma ci sono altri sintomi. La presidente del parlamento italiano, signora Boldrini, si è fatta promotrice della costituzione di un gruppo di "esperti" il cui compito sarebbe quello di scovare le fake news che appaiono in Rete. Esperti le cui qualità professionali sono in dubbio, e l'arbitrio della loro scelta è tanto palese da squalificare anticipatamente un tale tentativo. Ma si capisce bene che i loro verdetti saranno utilizzabili per scatenare una vera e propria caccia alle streghe.
È in base a questi allarmi — come si vede pienamente giustificati — che nell'ottobre scorso un gruppo di bloggers italiani ha avviato la creazione della WAC. Come strumento di difesa contro il sopruso della politica e del mercato, ma anche come struttura che permetta ai creatori indipendenti di notizie di negoziare con i grandi motori di ricerca e con i social networks le condizioni (anche quelle economiche) nelle quali il loro lavoro sociale è attualmente costretto. Cioè per mettere in discussione lo strapotere delle grandi multinazionali della comunicazione. WAC nasce in Italia, ma l'idea è di trasformarlo al più presto in una iniziativa internazionale. In primo luogo europea. È l'inizio di una grande e inedita battaglia per la democrazia.
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