Non si è ancora accertato chi sia stato a dare inizio ad una serie di bombardamenti tra Avdeevka e Donetsk, ma questi episodi hanno costretto il presidente ucraino Petr Poroshenko a interrompere la sua visita ufficiale in Germania e a convocare una riunione d'emergenza del Gruppo di contatto per la regolamentazione della situazione nel Donbass e rivolgersi al segretario generale dell'Onu.
— Perché la escalation nel Donbass è successa proprio adesso? Cosa esattamente si nasconde dietro l'attacco delle forze di ordine di Ucraina, che gli stessi militari ucraini chiamano una "offensiva strisciante"?
— Io penso che l'Ucraina di Poroshenko si stia vedendo definitivamente svanire quel momento che hanno avuto quattro anni fa quando l'Europa e gli Stati Uniti di Obama ci battevano con forza, con energia e anche con eccessivo entusiasmo per un cambio di regime in Ucraina. Oggi quelle condizioni non esistono più. Poroshenko sente che isolamento sta per toccare lui. Kiev sente che gli stessi cittadini di Ucraina in grande parte non sono più felici per quello che è successo. Non c'è più molto entusiasmo per il cambiamento di regime che avvenne quattro anni fa. E quindi hanno fretta perché capiscono che hanno tempi brevi davanti.
— A Suo avviso, adesso il presidente Poroshenko sta cercando di ricuperare la fiducia degli sponsor occidentali e per raggiungere questo obiettivo ha deciso di spingere verso una escalation del conflitto nel Dobnass giocando un brutto tiro alla Russia, oppure esistono altri ragioni?
— Secondo me, non ci sono più le condizioni politiche perché Poroshenko riesca a conquistare la fiducia della leadership occidentale semplicemente perché l'Occidente e il consenso europeo che rispondeva in certo senso al nome di Occidente non esiste più di fatto e rischia di frenare completamente il prossimo aprile con le elezioni in Francia. Sicuramente in questo momento Europa non ha nessuna intenzione di morire, ne svenarsi per l'Ucraina di Poroshenko. Questo sanno bene sia gli ucraini, sia lo stesso Poroshenko. Quindi tempi sono difficili per il presidente ucraino e per tutto quel governo che è uscito quattro anni fa da quel cambio di regime.
— Per quale motivo l'Europa sta ancora chiudendo gli occhi sulla situazione attuale nel Donbass, soprattutto su tutto quello orrore che sta succedendo con i bambini?
— L'Europa è una identità che ormai va avanti in automatismo senza avere però quelle capacità politiche, capacità di prendere decisioni che dovrebbe avere un organismo che si autodefinisce una "grande potenza politica". Basta guardare come l'Unione Europea reagisce ai problemi che la toccano direttamente: problemi come immigrazione o come crisi economica. L'Ue è una parvenza di una grande politica che non ha nessuna capacità decisionale. Figuriamoci che riesce a prendere delle decisioni di breve termine sull'Ucraina.
— Pensa che Poroshenko ha ancora possibilità di rispettare i provvedimenti degli accordi di Minsk, sotto i quali Kiev ha messo la sua firma? Lo potrebbe spingere di fare questo passo importante il cambio della formazione dello stato, la ricostituzione dei rapporti socioeconomici con il Donbass o qualche altro fattore?
— Penso che alla fine tutto si deciderà a Washington, quando l'Amministrazione Trump riuscirà a mettere insieme e a definire la sua politica innanzitutto nei confronti della Russia di Putin e in secondo luogo sull'Ucraina e su tutti gli altri problemi. Molto probabilmente Poroshenko è destinato a restare in limbo, senza sapere quale sarà effettivamente il suo destino, se è quello di essere completamente abbandonato o se invece di avere qualche speranza di essere nuovamente sostenuto. Credo comunque che ben difficilmente l'Amministrazione Trump sarà disposta a concedere a Poroshenko e al suo governo quell'appoggio entusiastico come quello che l'ha concesso all'epoca l'Amministrazione Obama.
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