Un'immagine dai toni pessimistici, ma allo stesso tempo una fotografia realistica del sistema Italia, dove, senza giri di parole, l'autore mette a fuoco i problemi più vivi del Paese. Nel suo libro Grandi non usa mezzi termini per descrivere la dura realtà, appoggiandosi a cifre e dati che parlano da soli.

Non è solo colpa di Renzi, l'autore nel suo libro rileva infatti un male collettivo più ampio, l'intera classe dirigente è coinvolta nel declino dell'Italia. Si tratta di un processo inarrestabile? L'Italia e i giovani saranno in grado di reagire? Sputnik Italia ne parlato con Augusto Grandi, giornalista e scrittore, autore del libro "L'Italia allo sbando" nelle librerie da novembre (Eclettica Edizioni).
— Augusto, nel suo libro ha toccato temi di cui non si parla in termini così diretti. In tv non direbbero mai queste cose?
— Probabilmente ha ragione, né in tv né da altre parti direbbero queste cose e neanche cercherebbero di farle capire, che forse è ben peggio.
— Nel libro come in un puzzle ha raccolto molti aspetti e problemi che preoccupano la gente.
— L'ha definito molto bene usando il termine "puzzle", perché sono tanti elementi che difficilmente vengono messi insieme. Ognuno solitamente analizza la piccola parte che conosce e ignora quelle che c'è intorno, invece è tutto collegato. Unendo i diversi aspetti abbiamo un quadro completo.
— Dal lavoro all'università, dal Made in Italy al turismo, sembra che ogni settore non funzioni come dovrebbe. Il problema quindi è il sistema Italia stesso? Perché va tutto storto e la crisi è diventata strutturale?
— Perché abbiamo una classe dirigente disastrosa, non soltanto quella politica. Abitualmente tutti se la prendono con i politici, e hanno ragione a prendersela con loro, ma dimenticano che la classe dirigente è anche chi gestisce le aziende, il turismo. Il problema è la classe dirigente a 360 gradi, che è inadeguata alle sfide di oggi. Questo porta ad una crisi complessiva del sistema del Paese.
— Perché ha deciso di scrivere questo libro? È un auspicio di cambiamento?
— Io vado verso il declino, ma avendo due figli giovani, vorrei che potessero vivere, lavorare e avere un futuro in questo Paese. Vorrei che potessero stare e vivere bene a casa propria.
— Arrivati a questo punto, per salvare l'Italia, servirebbe una rivoluzione secondo lei?
— Serve una rivoluzione mentale e morale. Non c'è bisogno di andare con i carri armati per strada. Occorre però che le giovani generazioni intervengano e cambino questa realtà, che altrimenti si disintegrerà sempre di più. Ora c'è stato il terremoto e quindi non si parla d'altro, la realtà non è soltanto il terremoto fisico, ma un terremoto mentale. Vediamo un declino che sembra inarrestabile e serve che qualcuno si decida a cambiare radicalmente la situazione smettendo di accettare regole che non funzionano. Ci possono essere anche regole dure e ingiuste che portano a dei frutti, per il momento però il risultato è sempre e solo negativo. Questo vale per l'industria, l'agricoltura, il turismo.
L'Italia era il primo Paese turistico del mondo negli anni '70, ora siamo diventati ottavi, direi un dato molto indicativo.
— Lei dice che le giovani generazioni devono cambiare la situazione, ma che cosa dovrebbero fare nel concreto? Unirsi in qualche modo?
— Ovviamente. La classe dirigente, questo regime cerca di isolare le persone. Anche gli stessi social tendono a tenere separate le persone. La gente non si riunisce più, semplicemente si incontra sul web, si è persa la presenza fisica dello stare insieme. Questo rende tutti più deboli. Esistono però possibilità di reazione: lo abbiamo visto a Torino e Milano con il caso dei fattorini dell'azienda Foodora, che portavano a domicilio il cibo nelle case. Di fronte ad un nuovo cambiamento di retribuzione sempre peggiore e più precario, si sono ribellati e rifiutati di consegnare i pacchi, adesso l'azienda è stata costretta a ritrattare.
Avere accettato sempre negli ultimi anni condizioni che arrivavano dall'alto ha portato ad un disastro totale. La gente deve cominciare a dire "basta". La logica è stata quella di portare sempre a più basso costo la manodopera, favorendo l'immigrazione. Si è scatenata così una guerra fra i poveri, portando a un peggioramento delle condizioni generali.
— Come si immagina l'Italia in futuro quando i suoi figli saranno più grandi? Ha paura?
— Io ho molta paura per loro. Sono preoccupato perché non vedo grandi sbocchi, perché anche nei settori più strettamente italiani come la cultura, la storia, l'agricoltura non c'è sviluppo. Alcuni dati sono impressionanti. L'Italia, che ha il primo patrimonio artistico culturale mondiale, si ritrova in fondo alle classifiche per il numero di addetti in questi settori. Noi non difendiamo il nostro patrimonio, non lo valorizziamo e non lo rilanciamo in nessun modo. Questa è una follia totale.
— Non c'è proprio speranza a suo avviso?
— C'è bisogno di un sistema alternativo. Se i giovani riusciranno a stare insieme e ad opporsi a questo destino c'è speranza. Le possibilità ci sono, perché non è un Paese rovinato nelle fondamenta, il problema è la sua gestione. Abbiamo per esempio un settore turistico che può essere rilanciato, basta che si facciano investimenti e che si ricominci a trattare le persone per quello che valgono davvero e non soltanto come manodopera.
Una volta che si ricrea un clima di fiducia e si elimina la precarietà le cose cambieranno. Quando uno potrà lavorare tranquillamente senza pensare che cosa farà il giorno dopo perché magari il lavoro non ci sarà più. Le cose possono migliorare, perché quando una persona lavora con serenità dà il meglio di sé. Quando uno lavora subendo minacce di precarietà assoluta non dà per niente il meglio di sé.
Quindi il primo cambiamento deve avvenire sul mondo del lavoro. Se cambia la mentalità, tutti i settori possono dare risultati migliori.
— Non resta che sperare in meglio e che questo declino sia una spinta per risalire.
— Certo, al peggio ci pensa già la classe dirigente. Noi possiamo solo sperare. Quando si tocca il fondo, poi si può risalire, noi però non sappiamo se abbiamo già toccato il fondo e stiamo ancora scavando. Quando si arriverà al declino totale del ceto medio, che era il cuscinetto fra le classi più povere e più ricche, crescerà una rabbia generale che dai social si trasformerà in vera protesta, probabilmente le cose allora cambieranno.
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