Le Destre “populiste” sono la salvezza della democrazia

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Impoverimento, diseguaglianza, fratture sociali, la sinistra però non si vede, a rappresentare quei ceti che portano sulle proprie spalle un crescente disagio sociale sono le disprezzate destre "populiste". Visti come pericolo per la democrazia proprio loro la salvaguardano, ridando voce a ceti sempre meno rappresentati e più emarginati.

L'Europa è preoccupata dall'ascesa delle destre nei Paesi a recente integrazione, una paura concreta dal momento che Ungheria, Polonia hanno visto l'affermazione di queste forze.

Le cancellerie dei Paesi più importanti dell’Unione Europea tremano perché l’avanzata dei partiti di destra da oriente procede verso occidente, dove si assiste all’ascesa della Lega Nord in Italia, del Front National in Francia, di AfD in Germania oltre che del FPÖ in Austria che ha pochi giorni fa sfiorato la vittoria alle presidenziali con Hofer. Si parla di un pericolo per la democrazia.

Ciò che più mette in ansia i governanti d’Europa non è contrariamente da quanto messo in luce dalla loro retorica, l’ideologia conservatrice, le parole d’ordine di queste forze, quanto il loro generale “anti-europeismo”, di cui si manca di precisare la sostanziale tensione verso maggiori politiche sociali, operatività nel gestire le crescenti fratture sociali ed economiche, oltre che attenzione sia a tessuti produttivi nazionali in continuo smantellamento con la crisi, delocalizzati, sia a diritti non tutelati in nome del dogma del libero mercato su cui l’UE è costruita e che non ha alcun rispetto per la vita e la dignità dell’uomo.

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Queste forze ascendenti in Europa Occidentale, come il Front National, la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle sempre più rappresentano le componenti popolari, “reali”, sottorappresentate, ma maggioritarie come gli operai, i comuni impiegati, i piccoli artigiani e imprenditori, disoccupati etc. Spesso riportano sulla scena politica le istanze di masse che avevano perso un proprio punto di riferimento politico a seguito del crollo dei grandi partiti novecenteschi dopo gli anni ’90 e la conseguente rincorsa di voti verso il centro, che andava bene in società imperniate sulla classe media, ma che oggi vede minore efficacia a causa di una crisi che comprime progressivamente la suddetta classe. Queste nuove formazioni dovrebbero quindi essere tenute in considerazione dai commentatori, dagli analisti e dai giornalisti, più che per le reductiones ad hitlerum, per il ruolo che hanno nella restituzione della rappresentatività, erosa nelle ultime decadi, a classi tradizionalmente emarginate dalla politica convenzionale.

Di fronte al rinvigorirsi delle tensioni sociali, dovute a una sempre maggiore diseguaglianza, a politiche di integrazione confuse e penalizzanti per gli strati bassi della società e alla loro manifestazione politica nella ripresa della mobilitazione degli strati più bassi della società, la risposta delle istituzioni, dei Partiti moderati di centro, categoria alla quale appartiene anche il Partito Democratico, sono le ricette liberiste scelte a Bruxelles che si ripercuotono in maniera differente su quello che è chiaramente un mercato non uniforme come quello europeo, tagli ai servizi, compressione del costo del lavoro, precarizzazione, peggiorando ulteriormente una grave situazione. In quello che rimane della sinistra le risposte mancano ancor di più di una qualsiasi coerenza, persa la bussola ideologica del marxismo, dedicatisi ad una politica alla “radicali”, incentrata quindi sui diritti individuali quali che essi siano, che non danno una risposta alle più diffuse questioni sociali, si trovano confusi e disorientati di fronte al riproporsi della questione di classe in nuove forme. Inoltre il ruolo delle destre in questa frattura, impedisce a queste formazioni di prendere determinate posizioni per via di sterili idelogismi, che si traducono in asserzioni di principio, vedi la questione migratoria, in cui si propone una tanto imprecisata, quanto infattibile apertura dei confini, senza però alcun collegamento con la politica reale e l'attuale composizione socio-politica dei vari Stati-nazione. Queste posizioni sono funzionali alle politiche liberiste euroatlantiche, perché poco pericolose, poco capaci di inserirsi nel solco delle fratture sociali più gravi e diffuse nella società. Ad affrontare tali questioni, anche con proposte discutibili, ma che pur sempre guardano in faccia con pragmatismo la situazione vigente, rimangono questi partiti tendenzialmente di destra, definiti genericamente, con una nuova etichetta di moda, “populisti”, alternativi alla confusione della sinistra e al liberismo europeista del centro.

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La reazione a queste forze antisistema, tradizionalmente marginali o di nuova formazione, è di condanna, la stigma e nel nostro Paese addirittura di scherno, derisione, che sebbene a volte aiutata dalle imbarazzanti e insostenibili posizioni di determinati leader, finisce nei fatti per essere diretta non ad essi quanto a quelle sempre maggiori fette di popolazione che si mobilitano manifestando il proprio disagio sociale sotto le loro bandiere (le uniche che gli accolgono), finendo per essere veri e propri atteggiamenti di disprezzo sociale e classista, che preparano il terreno per un’ulteriore radicalizzazione delle posizioni.

Di questi partiti “populisti” è spesso attaccato l’elemento personalistico, esso non è però una loro esclusiva prerogativa, ma una caratteristica portante dei contemporanei sistemi partitici, in cui gli schieramenti hanno smesso di rappresentare determinati segmenti sociali e intrapreso una corsa anonimizzante verso il centro nel tentativo di allargare i propri consensi elettorali. In questo contesto i nuovi mass media, in particolare i social hanno fatto in modo che i candidati, in particolar modo i leader, abbiano l’opportunità di intavolare un rapporto mediatico che si rivolge direttamente all’elettore, senza passare dagli organi di partito, dalla carta stampata, favorendo la personalizzazione dell’intera politica; in questo senso anche il PD è personalistico, non meno della Lega, mentre il M5S principale bersaglio di attacchi su questo tema, prima con lo svincolamento da Grillo, poi con la morte di Casaleggio, pur avendo diversi portavoce autorevoli come Di Maio o Di Battista, è uno dei pochi partiti che sembra attualmente sfuggire a questa caratteristica che si va affermando.

Un altro attacco, ancor più diffuso è circa una identità “populista”, termine di cui non si precisa bene il significato, ma si sottolinea la carica negativa e rimanda a una linea politica che si rifà all’appello allo stomaco degli elettori. Eppure se questo è il criterio, le accuse di populismo se applicabili a Lega o M5S, lo sono anche al PD. Il suo leader infatti promette 80 euro (a fronte di un aumento della pressione fiscale), omette i dati circa i licenziamenti mentre enuncia quelli sulle assunzioni, parla di aumento dei posti lavoro e del benessere, inducendo con le stesse politiche a ciò finalizzate a una progressiva precarizzazione, che aumenta la fascia dei cosiddetti working poor, infine con la semplicistica retorica della rottamazione ha scalato le gerarchie del potere. Tutto ciò ne fa senza infamia né lode un populista, una categoria mediaticamente trasformata in giudizio negativo, ma che si sta prefigurando come la cifra della politica contemporanea, che sostituisce alle precedenti categorie sociali a cui si rivolgevano i partiti tradizionali, la categoria inclusiva per eccellenza, ossia il “popolo” a volte associato col concetto di “nazione”.  Questa è la caratteristica principale del populismo ed è caratteristico del dibattito politico attuale.

Considerazioni come queste dovrebbero farci ricordare come in Europa e nel nostro Paese nello specifico sia iniziata una fase politica di transizione, nuove identità, nuovi leader, nuove agende politiche, nuovi modelli di organizzazione e come, di conseguenza, sia necessaria una ridefinizione dei contorni ideologici e delle categorie politiche che generalmente usiamo per leggere il dispiegarsi della politica. Il PD deve essere condotto al di fuori della cornice del centro sinistra per essere riconosciuto come un partito di centro, che ricorda la morfologia democristiana, con al suo interno correnti tanto conservatrici, quanto riformiste, sociali di eredità comunista della vecchia corrente di De Mita, in grado di costruire consenso trasversale, ciò non toglie che si sia definitivamente consolidata un’identità in economia neoliberista, funzionale alle politiche deflattive penalizzanti dell’UE e politicamente liberale o tutt’al più social-liberale.

Gruppi come quelli costituenti Sinistra Italiana, abbandonati l'attenzione alle più stringenti questioni sociali, le tesi rivoluzionarie di fondo, la volontà di attuare una piena giustizia sociale, il riferimento alla classe lavoratrice per inseguire diritti civili in un’ottica liberale possono benissimo essere etichettate come centrosinistra, ma non di certo estrema sinistra o sinistra radicale, come vorrebbero presentarsi. Se da una parte il M5S è tutt’ora difficilmente catalogabile, dall’altra è palese che per esso si necessiti l’abbandono della ridicola reductio ad hitlerum, equiparazione al fascismo, che è tutta retorica e così anche per la Lega. Essa infatti si configura sempre più come un partito di destra vecchio stampo, con un’ideologia incasellabile nel conservatorismo sociale, dove temi come il nazionalismo moderato, ricerca dell’interesse nazionale si fondono a richieste di giustizia sociale. Lasciamo invece la “casella” dell’estrema destra a quei gruppi che più direttamente si rifanno alle esperienze destrorse della storia italiana, come quella fascista. Queste sono più indicazioni che categorie definite, che io non ho la velleità di determinare, quel che è certo è che di fronte a noi si staglia l’importante compito di trovare nuovi strumenti per leggere la mutata politica italiana ed europea.

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Se questo è il nostro compito, quello della politica è di rispondere alle fratture sociali, alle esigenze profonde manifestate dai condannati partiti “populisti” (usato nel senso spregiativo del termine), come M5S, Lega in Italia e Front National in Francia. Un’insoddisfazione che trae spesso linfa da una situazione insostenibile per sempre più lavoratori, famiglie, in un contesto di polarizzazione crescente della ricchezza, dove i poveri si impoveriscono, i ricchi arricchiscono e la classe media viene polverizzata, mentre la globalizzazione frantuma le identità culturali, creando quelle mancanze di riconoscimento alla base dei crescenti contrasti, strettamente legati con la questione sociale, tra periferia e centro, tra minoranze e maggioranza a cui si unisce il disorientamento derivato dalla mancanza di controllo democratico per decisioni vitali di cui ben si percepisce l’imposizione all’esterno, da Bruxelles, dove nemmeno la rappresentanza nazionale, ormai percepita come inutile, ha un peso.

Attualmente però le istituzioni, la politica tanto al centro, quanto sopratutto a sinistra (paradossalmente) reagiscono ridicolizzando, offendendo, emarginando sia i partiti che si stanno facendo portatori di queste istanze, sia le cause stesse delle istanze, ponendo un muro ideologico a chi porta il disagio sociale sulle proprie spalle, anziché con essi interfacciarsi francamente nel tentativo di comprendere, trovare dal basso delle soluzioni. In questa situazione allora non resta nient’altro che dare il benvenuto ai populisti, che riportano le periferie al centro della politica, mettendo in luce le crescenti contraddizioni dell’Europa neoliberista.

Se il Front in Francia è riuscito con la Le Pen ha intraprendere una teorizzazione dell’ideologia del partito (intesa come visione d’insieme della società) e del suo ruolo nella società, questo manca oggi alla Lega, che per diventare un serio interlocutore necessita di garantire maggiore partecipazione, costruzione di quadri e di una elaborazione del proprio ruolo, dei propri obbiettivi nella società italiana, elementi oggi confusi che le impediscono di costruire quella credibilità a livello nazionale, che invece è ben presente nelle regioni da essa amministrate, dove la messa in pratica di condotte pragmatiche ha superato in efficacia le parole d’ordine dei partiti avversari, come ha dimostrato la cocente sconfitta della Moretti in Veneto nel 2014. Discorso che si fa ancora più urgente per il M5S ora rimasto senza leader in grado di sopperire a tale mancanza col suo carisma.

Insomma appare chiaro che una crescente massa di persone, spesso in difficoltà, desidera avere voce nell’arena politica, essere rappresentata, avere una forza che ponga le sue questioni, ma non piangete se a farlo è la Lega. La colpa è vostra che avete deciso di trincerarvi nella vanesia roccaforte della superiorità culturale o meglio del classismo, deridendo chi dovevate ascoltare, zittendo coloro con cui dovevate dialogare per capire, per maturare la coscienza politica, facendo preferenze tra le vittime, mentre, nel bene o nel male, qualcun altro ha deciso di ascoltare le persone comuni, diventandone, che vi piaccia o no, il rappresentante e conquistandosi il diritto al rispetto che gli negate.

Se uno dei criteri principali di democraticità è la rappresentanza, allora in un’Europa sempre più tecnocratica e iniqua, la salvezza della democrazia ora come ora passa proprio tramite i populisti che i "democratici" tanto odiano.

L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.

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