In realtà esiste la legge 185 del 1990 che vieta l'esportazione e il transito di armamenti verso i Paesi in stato di conflitto e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Quello della guerra però è un affare che non va mai in crisi. Sputnik Italia ha raggiunto per una riflessione in merito Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio OPAL di Brescia e della Rete italiana per il disarmo.

— L'export di armi da parte dell'Italia nel 2015 è triplicato. C'è trasparenza da parte del governo sulle armi che si vendono e sui Paesi destinatari?
— Sono triplicate nel loro insieme tutte le esportazioni di armamenti nell'ultimo anno, che sono passate da 2,9 miliardi nel 2014 a oltre 8,2 miliardi di euro nel 2015. Questo numero comprende sia le esportazioni per programmi di cooperazione intergovernativa, parlo delle armi esportate a Paesi dell'Unione europea o della NATO, sia le autorizzazioni all'esportazione di sistemi militari ad altri Paesi, che hanno raggiunto i 4,7 miliardi.
Il problema principale riguarda proprio la trasparenza. Secondo la legge 185 del '90, la presidenza del Consiglio deve inviare alle Camere ogni anno entro il 31 marzo una dettagliata relazione sull'esportazione e l'importazione di sistemi militari. Si tratta di una relazione a 2-3 volumi, di migliaia di pagine. Al di là di una tabella del Ministero degli Esteri che comunica il valore generale di autorizzazioni all'export verso ogni singolo Paese, il livello dei dettagli è molto generale. Per esempio sapere che sono state esportate armi per un totale di 400 milioni all'Arabia Saudita, non spiega a quali armi equivale quella somma, si va dalle armi di piccolo calibro a sistemi militari più importanti. È importante sapere gli scopi di quei determinati sistemi militari, sono sistemi per la guardia marina o elicotteri per l'attacco al suolo?
— Che cosa si può sapere dalla relazione attuale della Presidenza del Consiglio sull'export delle armi?
— Si può sapere il valore delle autorizzazioni all'esportazione verso ogni singolo Paese, si sanno i generici sistemi di arma, ma non si sa specificatamente quali quantità di armi di quale specifica tipologia è stata autorizzata all'esportazione verso quale Paese.
Tutto questo era scritto paradossalmente nelle primissime relazioni della Presidenza del Consiglio ai tempi di Andreotti. Torniamo agli anni '90 quando questa legge fu fatta e c'era una forte attenzione in Parlamento su questa questione. Con gli anni la stessa industria militare italiana, la Finmeccanica, ha fatto forti pressioni perché diminuisse questa trasparenza.
Abbiamo parlato qui di esportazione, ma lo stesso discorso vale per la consegna di materiale militare. Anche per le consegne è impossibile sapere che cosa effettivamente venga consegnato. Un conto, se prendiamo l'Egitto, è inviare un sistema di radar elettronico, un altro conto è inviare armi leggere.
— Ha fatto molto parlare il caso dell'Arabia Saudita. L'Italia avrebbe venduto delle armi all'Arabia Saudita che poi vengono utilizzate per bombardare lo Yemen. L'Italia in questo modo infrange delle norme?
— Nel 2015 fra le autorizzazioni all'esportazione, escludendo i programmi intergovernativi, quelle verso il Medio Oriente, il Nord Africa e alcune zone dell'Asia rappresentano un quinto di tutte le armi italiane. Parliamo di zone di forte tensione e conflitto. Questo è già un dato sul quale occorrerebbe riflettere.
Da marzo 2015 l'Arabia Saudita è intervenuta nel conflitto in Yemen senza alcuna legittimazione internazionale e nonostante la legge italiana preveda il divieto di esportare armi e sistemi militari a Paesi in conflitto armato, l'Italia ha continuato ad esportare bombe dell'azienda RWM verso l'Arabia Saudita.
— Le guerre sono un ottimo business purtroppo. L'Europa a parole sottolinea l'urgenza di stabilizzare le zone di conflitto in Medio Oriente e in Africa, lamenta i flussi di profughi che scappano da queste guerre, ma allo stesso tempo arma quei Paesi. Alla fine il business della guerra prevale sulla politica?
— I nostri ministri, come la Pinotti e il Ministro Gentiloni, hanno continuamente giustificato l'invio di armi e sistemi militari a questi Paesi con la lotta al terrorismo internazionale, all'ISIS. Questo sta diventando il pretesto per continuare ad alimentare questi conflitti.
— Come Rete per il Disarmo che cosa chiedete al governo?
— Noi chiediamo 3 cose, che non sono istanze di tipo pacifista o disarmista. Chiediamo innanzitutto il rigoroso rispetto della legge 185 del '90, che vengano quindi effettivamente vietate esportazioni di armi a Paesi in conflitto armato e dove ci sono gravi violazioni dei diritti umani.
Chiediamo infine al Parlamento di intervenire e di promuovere innanzitutto una lettura e un'approfondita analisi della questione. Negli ultimi 10 anni il Parlamento di fatto non sta esaminando le esportazioni di armi italiane.
Chiediamo quindi rispetto per la legge italiana, che serve ad una maggior sicurezza per tutti.
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