
Il primo settembre, giorno in cui di solito iniziano le scuole, questo liceo non ha potuto aprire le porte ai suoi studenti. Ora, tutti sono all'opera: muratori, personale scolastico, professori.. in un comune sforzo collettivo, di reminiscenza sovietica, per poter riaprire la struttura a ottobre.
È straordinaria la tenacia della popolazione civile del Donbass nel voler comunque andare avanti, continuare, non cedere mai, cercare di costruire una parvenza di vita normale nonostante tanta pena e tanta distruzione.
Ho incontrato una giovane mamma che mi ha raccontato d'aver partorito in uno scantinato mentre in superficie cadevano le bombe. Malgrado ciò, sorridente ha aggiunto: "Grazie a Dio il mio bambino ora cresce".
Nella piazza centrale di Gorlovka davanti al monumento di Lenin, centinaia di ragazzi, studenti, si stavano riunendo per modellare con i loro corpi, allineandosi gli uni vicino agli altri, le lettere MIR che in russo significano "pace". Questa è una grande testimonianza di speranza.
Sono anche stato nei giardini cittadini, un ragazzo mi ha indicato il punto esatto dove il 27 luglio dell'anno scorso, una granata ucraina ha dilaniato Kristina e la sua figlioletta che teneva tra le braccia. Ricordo, con angoscia, la foto con i loro corpi straziati che girava sul web, senza però bucare il mainstream occidentale e procurare il dovuto sdegno verso questa assurda guerra nel Donbass riguardo alla quale l'occidente non è esente da responsabilità.





Il momento più toccante della mia visita a Gorlovka è stato quando, camminando tra le vie cittadine, ho notato una bambina bellissima, biondissima che accovacciata, giocava con la sabbia dietro una scultura a forma di roccia. Il monumento riportava una targa con incise le parole: "Alle vittime innocenti di una guerra mai dichiarata, a ricordo degli abitanti della città uccisi per effetto dei fatti bellici del 2014". Vicino alla bambina, seduta a vendere delle mele, c'era sua madre. La signora, che di fianco in carrozzella aveva un altro bambino più piccolo, vedendomi fotografare, ha iniziato a raccontarmi, con commozione, di sua figlia che ama giocare vicino alla scultura consapevole che suo papà è tra quelle vittime che il monumento stesso menziona. Una sorta di empatia, quasi di protezione e famigliarità che la bimba prova nel giocare vicino al monumento dedicato anche al suo papà.
La mamma, la vedova, con un'espressione tristissima a quel punto chiede alla figlia: "Tu sai cosa significa quel monumento! Tu sai chi ha ucciso il papà!", e la bambina risponde: "Gli ucraini".
Ecco, non potrò mai dimenticare lo sguardo colmo di sgomento e dolore di quella bambina. Mi chiedo anche in che modo questa creatura innocente, la cui vita è stata così profondamente segnata dal lutto e dalla sofferenza, potrà mai in futuro considerare l'Ucraina, il paese che nonostante pretenda ancora d'essere il suo paese in realtà, in un baleno, le ha strappato via non solo il padre ma anche un'infanzia felice.