Le dichiarazioni di Robert Scales suscitano indignazione per la violenza del messaggio e confermano la russofobia degli Stati Uniti, malattia che sembrerebbe incurabile.
"L'unico modo in cui gli Stati Uniti possono avere un qualche effetto in questa regione per invertire la tendenza è quello di cominciare ad uccidere i russi. Ucciderne così tanti che i media, anche quelli favorevoli a Putin, non possano nascondere il fatto, che i russi stiano tornando in Patria chiusi in sacchi di plastica".
Scales ha auspicato in diretta lo spargimento di sangue russo. Questo messaggio carico di violenza non ha trovato per il momento risonanza sui giornali italiani. Tutti tacerebbero come adesso se invece dei russi, il generale americano avesse detto "italiani", "francesi" o "ebrei"?
Ci siamo rivolti per una riflessione in merito alla vicenda a Diego Fusaro, filosofo all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
- Dott. Fusaro, come commenterebbe le dichiarazioni di Robert Scales?
- Se non sapessi che sono dichiarazioni di un generale americano, penserei che fossero dichiarazioni di un terrorista dell'Isis. Invece poi ci accorgiamo che si tratta di un americano, che incita all'odio, alla violenza e allo spargimento di sangue. Questo purtroppo è in linea con le politiche americane del ‘900 e soprattutto degli ultimi trent'anni, dove gli americani in nome dei diritti umani e della democrazia hanno purtroppo sparso sangue in giro per il mondo. Lo fanno sempre legittimandosi con la retorica della democrazia e dei dittatori barbuti che devono essere spodestati. Usano sempre la retorica della nota favola di Fedro, per cui il lupo cerca una legittimazione per attaccare l'agnello e se la inventa.

- La situazione nell'est ucraino è molto complicata anche da un punto di vista identitario. Non si capisce a chi si riferisse l'ex generale americano: ai separatisti, ai civili del Donbass che si sentono russi nonostante il passaporto ucraino o ai russi in generale. Però il messaggio che "bisogna spargere sangue russo" è stato chiaro. Ogni guerra prima o poi finisce, ma queste dichiarazioni sono sintomo forse di una russofobia generale? Come coesistere a livello internazionale in questo contesto?
- Secondo me in realtà era riferito non tanto ad una popolazione specifica dell'Ucraina, ma alla Russia di Putin. I russi sono odiatissimi dagli americani in questo momento storico, in verità lo sono già dal 1917 in avanti. Non hanno mai smesso di odiarli, con una parentesi forse solo con Gorbaciov e Eltsin, quando pensavano di avere di fronte a sé dei servi disposti ad appoggiarli.
Con Putin la situazione è cambiata, perché anche se non è Lenin sta facendo un'opera di eroica resistenza agli Stati Uniti d'America. Io dico sempre che l'immagine del presidente Obama "Yes, we can", deve essere accostata a quella del presidente Putin, che gli dice "no, you can't". Per questo odiano la Russia, perché costituisce un polo di resistenza agli Stati Uniti d'America ed ha oggi il compito di ricostituirsi come blocco antagonista rispetto al blocco statunitense, di cui l'Europa purtroppo è oramai serva.
Il fatto che Putin sia dalla parte giusta, ce lo prova in maniera certa il fatto che il circo mediatico, il clero giornalistico e la manipolazione televisiva continuamente diffamino Putin presentandolo come un terribile dittatore sanguinario, non rispettoso dei diritti umani. Questo è detto poi da un Paese, gli Stati Uniti, che hanno la pena di morte. Fa veramente ridere da un certo punto di vista. Finché c'è la Russia di Putin c'è speranza di un mondo multipolare, un mondo dove non ci siano solo gli Stati Uniti d'America, ma ci sia spazio per più voci. La Russia di Putin è l'equivalente funzionale di senso dell'Unione sovietica, scomparsa nell'89.
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